#: locale=it ## Tour ### Descrizione ### Titolo tour.name = C.P.G. 59 - Servigliano ## Skin ### Pulsante Button_062AF830_1140_E215_418D_D2FC11B12C47.label = Visita il sito Button_693AE857_5A10_02E0_41CB_AD3F1CC541F0.label = ALL Button_6F0CA2CC_5A10_07E0_41C3_C8AA78EBB705.label = ALL Button_703B1650_5A10_0EFF_41C8_820B824B76B3.label = All Button_718FB1CD_60B6_E5E3_41D6_BCB4CCFDFBDC.label = Visita sito Button_73C7690B_5A10_0261_41C9_86A2B85470E4.label = All Button_8BEAD9F1_9BC9_A154_41DB_82E866597648.label = CASA DELLA MEMORIA Button_95D3FB4C_9BC8_A14C_41B1_385C27DAE6AF.label = C.P.G. 59 Button_A88E9380_9CD8_E1B4_41C9_D10431E30FBD.label = 2*GM Button_AA38334D_9CD8_614C_41B4_0A70E4340529.label = 2*GM Button_AA38334D_9CD8_614C_41B4_0A70E4340529.pressedLabel = 2*GM Button_ACC02A19_A219_49F3_41DC_996ED61B41DB.label = 2*GM Button_AD4A0F89_A21B_46D0_41D3_BED37DA45A06.label = 2*GM Button_AD4DDBD6_A219_CE71_41D2_89828AF16439.label = PROF. Button_ADF3BA17_A219_49F0_41E2_443F388FA29D.label = PROF. Button_AF1F7429_9CF8_66F4_41E1_7C0BE0842F3D.label = Prof Button_AF3DB846_9CF8_AEBC_41D2_0BBD68132C90.label = 1*GM Button_AF3DB846_9CF8_AEBC_41D2_0BBD68132C90.pressedLabel = 1*GM Button_B50BCFD8_AB3A_250D_41E0_0154AF2ACAE1.label = Virtual Tour CPG.59 Button_B89E2963_9C38_A174_41B4_80E87B203BD6.label = 1*GM Button_B89E2963_9C38_A174_41B4_80E87B203BD6.pressedLabel = 1*GM Button_B9F01261_9CC8_A374_41D0_33C2BF4A13E7.label = Prof Button_CB446E86_E3DD_1041_41E8_2F6D1F3F2062.label = Virtual Tour CPG.59 Button_D66A506F_9C49_BF4B_41DA_CE2EF92F2ECA.label = 1*GM Button_D94462D5_9C58_A35C_41D2_EB9ADE7F0E2A.label = 1*GM ### Testo Multilinea HTMLText_062AD830_1140_E215_41B0_321699661E7F.html =
Perché una Casa della Memoria



Nata nel 2001, l’associazione ha la finalità di recuperare e far rivivere la memoria di tutti gli eventi che hanno interessato direttamente l’ex Campo di Prigionia di Servigliano e indirettamente la Valle del Tenna attraverso la raccolta di materiale documentario, di testimonianze e l’accoglienza di visitatori e studiosi. Per statuto promuove la cultura della legalità e si pone l’obiettivo di educare i giovani e le future generazioni ai valori della pace, della democrazia e della solidarietà.


Per questi motivi l’associazione è interessata a stabilire contatti con chiunque abbia qualsiasi legame con la storia del Campo o sia in possesso di materiale relativo al Campo (video, fotografie, oggetti, disegni, diari)


Sede dell’associazione è la ex stazione ferroviaria di Servigliano, adiacente al Campo, che ospita anche il Museo della Memoria, una mostra fotografica permanente sulla storia del Campo, e l’aula multimediale dove si svolgono gli eventi organizzati dall’associazione.
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Perché una Casa della Memoria



Nata nel 2001, l’associazione ha la finalità di recuperare e far rivivere la memoria di tutti gli eventi che hanno interessato direttamente l’ex Campo di Prigionia di Servigliano e indirettamente la Valle del Tenna attraverso la raccolta di materiale documentario, di testimonianze e l’accoglienza di visitatori e studiosi. Per statuto promuove la cultura della legalità e si pone l’obiettivo di educare i giovani e le future generazioni ai valori della pace, della democrazia e della solidarietà.


Per questi motivi l’associazione è interessata a stabilire contatti con chiunque abbia qualsiasi legame con la storia del Campo o sia in possesso di materiale relativo al Campo (video, fotografie, oggetti, disegni, diari)


Sede dell’associazione è la ex stazione ferroviaria di Servigliano, adiacente al Campo, che ospita anche il Museo della Memoria, una mostra fotografica permanente sulla storia del Campo, e l’aula multimediale dove si svolgono gli eventi organizzati dall’associazione.
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Deposito Militare



Nel mentre procedeva il rimpatrio dei prigionieri, autorità e notabili della provincia erano impe-gnati affinché il Ministero della Guerra cedesse il Campo al Comune per convertirlo in attività civili. Ma la Divisione Demanio Militare del Ministero della Guerra il 29 novembre rese nota la sua deci-sione: “[...] si comunica che la cessione del Campo concentramento prigionieri di Servigliano alla So-cietà Adriatica Pesca e Trasporti non è possibile, dato che il Campo stesso occorre all'Amministra-zione Militare per i propri servizi.”12 Subito la Sezione Staccata di Artiglieria di Ancona ne assunse la gestione destinandolo a deposito di materiale vario. Intorno al 1935, la Divisione del Demanio Militare decise di smantellare una metà del Campo di concentramento per permettere la realizza-zione di un Campo di calcio voluto dal Dopolavoro Comunale. Venne così eretto un muro in matto-ni per delimitare il nuovo perimetro. Tale operazione di fatto ne dimezzò la capacità ricettiva, passata da 4000 a 2000 unità. Il settore che restava in funzione fu utilizzato dal governo fascista come deposi-to di materiale bellico, in parte inviato in Spagna durante la Guerra Civile (1936-1939).





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Prima Guerra Mondiale


L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria dopo le “radiose giornate” del maggio 1915, nonostante il chiaro orientamento neutralista della popolazione e della maggio-ranza del Parlamento. Erano neutralisti i due grandi partiti di massa: i socialisti e i po-polari. L'opposizione alla guerra era sentimento molto diffuso tra la gente se, come sostie-ne lo storico inglese E. Hobsbawn, molti di coloro che combatterono nella prima guerra mondiale, per lo più arruolati con la coscrizione obbligatoria, maturarono una convinta scelta pacifista. L'altro schieramento, quello degli interventisti, favorevoli alla guerra, era formato da nazionalisti, da settori socio-economici vicini ai grandi interessi industriali e da chiassosi intellettuali, per i quali simpatizzava la borghesia cittadina. Come nelle grandi piazze d'Italia, anche nella Valle del Tenna il dibattito si era presentato acceso e vennero stabilite inedite alleanze. Le due testate d'opinione più diffuse, La Lotta, orga-no della Federazione Socialista di Fermo e La Voce delle Marche, organo della Diocesi di Fermo, tradizionalmente su posizioni diverse e sempre in polemica tra loro, avevano scoperto, già dal luglio del 1914, allo scoppio della guerra, una imbarazzata ma non re-pressa vicinanza. Questi alcuni titoli dei due giornali: Il 14 agosto 1914, a pochi giorni dall'inizio delle operazioni militari nei Balcani, La Voce delle Marche affermava la posizione neutralista della chiesa titolando: “IL VATICANO E LA GUERRA EUROPEA”.


Il 23 dello stesso mese, anche La Lotta insisteva sul neutralismo, titolando: “ABBASSO LA GUERRA”. Dunque, nonostante la vasta opposizione alla guerra e le ter-ribili notizie provenienti dall'Europa continentale, dove eserciti dotati di armamenti sempre più devastanti stavano producendo immani distruzioni con migliaia di morti, il 24 maggio 1915 il re e il governo decisero di gettare L'Italia nel conflitto. Ben presto iniziò la conta, oltre che dei caduti, anche dei soldati nemici catturati. Si pose così il problema di realizzare dei campi di prigionia. Ogni comando di Corpo d’Armata fornì una lista di località idonee alla costruzione di campi di concentramento. Il comando di Corpo di Armata di Ancona, sottosezione di Chieti, trasmise al sindaco di Servigliano, in data 20 agosto 1915, una relazione a corredo della proposta per la costruzione di un grande “Campo di concentrazione di prigionieri di guerra”.
Le località scelte per la costruzione di tali campi dovevano “Essere poste fuori dalle zo-ne di guerra, in terreno pianeggiante, in plaga salubre e ben fornita di acqua, lontana dai centri industriali ed infine facilmente sorvegliabile”. Il sito di Servigliano risultò molto interessante per l'aspetto logistico, “Fuori dalla zona di guerra e lontano da nodi stradali dove l’agglomerato di molti prigionieri non sarebbe opportuno, tuttavia si giova di comu-nicazioni facili ed è connesso alla grande rete stradale mediante una ferrovia a vapore a scartamento di m. 0.95 di sufficiente potenzialità.” Ma anche per l'aspetto socio-economico della Media Valle del Tenna, presentata come preminentemente agricola, dunque priva di “...addensamenti di masse operaie e prospe-ra invece l’artigianato: non si ha traccia di quelle agitazioni proletarie che altrove, sotto la larva di miglioramenti economici, nascondono sovente propositi di sovvertimento politi-co e sociale.”
L’interessamento del Genio Militare per il piccolo centro di Servigliano non cadde nel vuoto. Nell’autunno del 1915, a cura dell’ingegnere Eugenio Fagiuoli, furono espropria-ti circa 3 ettari di terreno per dare inizio alla costruzione del Campo. Un anno dopo, nell'estate del 1916, l'ex deputato Romolo Murri decise di effettuare un sopralluogo per capire come stessero procedendo i lavori. A conclusione di questa sua indagine, scrisse una lettera al deputato socialista Leonida Bissolati, formulando alcune domande:


Perché era stato abbandono del progetto primitivo che prevedeva l'uso del calcestruzzo?
Perché la capacità ricettiva del Campo era passata da 10.000 a 4.000 prigionieri?
Perché il costo dell'opera era cresciuto a dismisura?
Perché i lavori venivano affidati direttamente a ditte fiduciarie?



I lavori durarono circa 10 mesi. Furono realizzate 32 baracche in legno rivestite esternamente di mattoni e internamente intonacate. La superficie era di 300 mq ciascuna per una capienza di 125 prigionieri. La copertura era in tegole marsigliesi. Il Campo era diviso in due settori ed era circondato per tutto il suo perimetro da un muro alto circa 3 metri, sopra il quale era stato posto del filo spinato. Ciascun settore era dotato di pozzi con relative pompe, infermerie, bagni e cuci-ne. Le baracche destinate al corpo di guardia furono invece costruite all’esterno della cinta mu-raria. Il Campo ultimato avrebbe potuto ospitare circa 4000 prigionieri, poco più di 2000 per ciascun settore, ma non raggiunse mai la massima capienza. I primi prigionieri giunsero a Servigliano nell’agosto 1916. Da quel giorno iniziò il loro via vai, con permanenze non particolarmente lunghe. Fin dal 1915, i comandi militari avevano avviato i pri-gionieri al lavoro per sopperire alla mancanza di manodopera, offrendo loro le tutele previste dalla Convenzione de L'Aja. Nel marzo del 1917, una circolare del Ministero della Guerra rese an-che obbligatoria l'assicurazione per infortuni e morte. Appena un mese dopo, in una nota del 26 aprile, il Ministero calcolava che nei vari Campi presenti in Italia fossero almeno in 20.000 quelli che venivano impiegati in attività lavorative; tra loro falegnami, sarti, calzolai, muratori e agri-coltori.


Anche a Servigliano si richiedevano prigionieri in possesso di diverse competenze. Alcuni resta-vano all'interno del Campo a lavorare in botteghe predisposte dal comando, come la sartoria e la falegnameria; altri erano autorizzati ad uscire per recarsi al posto di lavoro, come nei cantieri edili, per i muratori, e nelle campagne, per gli agricoltori. In questa organizzazione l'anello debo-le riguardava il salario dei prigionieri lavoratori. Essi erano esposti a numerose forme di abusi, come l'obbligo al lavoro gratuito o la sottrazione in tutto o in parte della retribuzione prevista, da parte di uomini corrotti interni al Comando del Campo. Nell'autunno del '17, alcuni prigionieri, vincendo il clima di omertà, denunceranno tutto. All'inizio della sua attività, il Campo appariva ben organizzato ed il merito era da attribuirsi soprattutto al comandante, il colonnello Simerci Antonio, che godeva di diffusa stima tra la truppa di guardia e la cittadinanza. Forse a ragione della competenza mostrata, venne promosso generale e trasferito ad altro incarico. Durante la primavera del '17 furono trasferiti a Servigliano alcune centinaia di prigionieri provenienti dal Campo di Pretulo e dal Campo di Campli, fino a toccare la quota di 1.500 unità. Gli arrivi però andavano a gravare sulla già delicata situazione dell'approvvigionamento idrico, con conse-guente riduzione della quantità pro capite d'acqua. Inoltre, si sospettava che nel Campo di Pre-tulo fosse in atto un'epidemia di dissenteria e che qualche prigioniero da poco arrivato ne fosse affetto. La mancanza di braccia spingeva le autorità ad un uso massiccio di prigionieri au-stroungarici nei lavori manuali, ricorrendo anche a pressioni o incentivi; per questa ragione essi venivano spesso spostati da un Campo all'altro, in base alle necessità. La scarsa utilizzazione del Campo di Servigliano potrebbe anche imputarsi alla discutibile gestione di due comandanti: il cap. Mathier e il col. Maresca, contro i quali “un gruppo anonimo di cittadi-ni” scrisse sdegnate lettere a membri del governo e del parlamento a Roma. In quello stesso an-no, dopo una breve permanenza, il colonnello Lombardi venne sostituito al comando del Campo dal maggiore Cappa, proposto a quest'incarico dal deputato Monti. Quest'ultimo sollecitò il go-verno affinché si rendesse più attivo il sito di Servigliano. Ma, in una lettera del 25 gennaio 1918 indirizzata al deputato, il ministro della Guerra precisava che “… il Campo prigionieri di detto comune, non ostante la sua maggiore capacità, non contiene attualmente che 738 individui; e tale numero andrà via via sensibilmente diminuendo, perché una parte dei prigionieri sarà destinata ai lavori altrove ... ”


Sembra quasi che i comandi militari volessero arrivare alla chiusura del Campo. Invece, nell'e-state del 1918, le truppe italiane, sostenute da reparti inglesi, francesi e americani, intensificaro-no le operazioni fino al crollo del nemico, cosa che avvenne alla fine di ottobre, con la battaglia di Vittorio Veneto. “Prima che l'armistizio entrasse in vigore, le truppe italiane catturarono 416.116 soldati e 10.658 ufficiali ... ”


Di fronte a questa nuova e imprevista situazione, decine di Campi di prigionia distribuiti in tutto lo stivale furono allertati per l'invio di nuovi prigionieri. Anche a Servigliano giunsero alcune centinaia di soldati e ufficiali austroungarici, ma il numero complessivo non toccò mai il massi-mo delle 4.000 unità.








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Progetto realizzato dalla Casa della Memoria di Servigliano e la Cooperativa Sociale Opera.



Design e sviluppo
Riccardo Mecozzi



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L’associazione La Casa della Memoria organizza su richiesta visite guidate al Campo di Servigliano. Poiché sarà uno dei volontari dell’associazione ad accompagnarvi nel tour, chiediamo di prenotare con almeno 24 ore di anticipo rispetto al giorno della vostra visita.


Siete una scuola? Abbiamo un programma specifico per le vostre attività didattiche. Scriveteci per maggiori informazioni.


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Campo di Raccolta Profughi - Smantellamento



Intanto, a giugno del '44, trasportati dai camion, giunsero nel Campo anche numerosi civili. Si trattava di profughi slavi, sloveni per la precisione, che parlavano il serbocroato. Era un’intera comunità di quasi 1300 persone, formata da nuclei familiari con bambini e vecchi. Il loro status era tutelato da un organismo dell’Onu, che nei primi anni del secondo dopoguerra si occupava di profughi: l’IRO (International Refugee Organisation). Nell’estate del 1946 il Campo venne evacuato. I primi a partire furono i militari polacchi, che lasciarono Servigliano il 1° luglio. Sempre in estate, iniziarono anche le operazioni di trasferimento dei profughi sloveni verso il Campo di Senigallia, completate il 24 luglio 1946. L’IRO aveva già concluso un accordo con l’Argentina per il loro espatrio. La presenza di profughi slavi in Italia era tutt’altro che margi-nale e andava ben oltre quel migliaio che nel ’46 lasciò Servigliano.


Nella valle del Tenna, anche l’ex Cam-po di prigionia di Fermo, gestito dall’IRO, venne utilizzato come Campo profughi per circa 2.000 croati, molti dei quali si rivelarono legati agli ustascia. La loro presenza portò forti tensioni nel circondario. Tra l'altro, nella stessa struttura erano ospitati ebrei provenienti dai campi di concentramento tedeschi, anch'es-si in attesa di espatriare. Si trattava di profughi senza documenti di identità (i Desplaced Persons) che, per-seguitati durante gli anni del nazismo nei propri paesi d’origine, si rifiutavano di ritornarvi. Vittime e car-nefici si trovarono così gomito a gomito, e non mancarono casi di violenze dentro e fuori il Campo. Alcuni documenti dell’Ufficio storico dello stato maggiore dell’esercito registrano la presenza di ustascia anche nel CRP di Servigliano.[7] Giorgio Cingolani, Gli slavi in Italia: collaborazionisti, … (1945-1950), in Violenze e ingiustizie, Clueb, Bologna, 2003.


La rapida partenza di oltre duemila persone, tra profughi sloveni e militari polacchi, diede l’impressione di un paese svuotato. Ma, qualche giorno dopo, la direzione procedette a nuove disinfestazioni e restauri, per l’arrivo di altri profughi. Formalmente, l'accoglienza dei profughi giuliano dalmati nel Campo di Serviglia-no iniziò il 20 settembre 1947, con personale del Ministero dell’Interno e corpo di guardia affidato ai cara-binieri. All’ingresso venne apposta la scritta ‘Centro Raccolta Profughi’.


Da subito affluirono decine di persone, riunite in piccoli gruppi trasportati dal trenino, di nuovo in servizio dopo il rifacimento del ponte e di un tratto della linea ferroviaria. Alla stazione, venivano accolti da un ad-detto del CRP e guidati verso le baracche. Il 25 ottobre 1947, la P.C.A. (Pontificia Commissione Assisten-za) nominò cappellano del CRP don Vincenzo Nicolai. Quando il trenino arrivava alla stazione di Servi-gliano, i profughi si trovavano davanti agli occhi una struttura concepita per la reclusione di soldati, con un alto muro di cinta sovrastato da filo spinato, cocci di vetro e torrette di guardia. Tutto questo generava una grande nostalgia per le case lasciate. I più sottolineano il livello di estrema essenzialità, per quanto riguarda la sistemazione nelle baracche. In effetti la struttura non era in grado di rispondere alle più elementari esi-genze di riservatezza. Le baracche venivano divise in stanzoni usando delle coperte, senza porte, che non permette-vano alcuna forma di intimità. Il CRP offriva, oltre alla precaria sistemazione nelle baracche, dei pasti caldi che poi furono sostituiti con un modestissimo sussidio in denaro. In una lettera del '45, l’Ufficio Provincia-le Profughi di Guerra stabiliva il soccorso giornaliero da erogare ai profughi:
per persone isolate L. 20 giornaliere
per ogni componente la famiglia di più persone adulte L. 17 giornaliere
per ogni componente della famiglia di età inferiore a 15 anni L. 14


Nel gennaio del 1947, mossi da ragioni solidaristiche, alcuni cittadini di Servigliano costituirono sponta-neamente un Comitato Assistenza Profughi allo scopo “… di soccorrere moralmente e materialmente i fra-telli della Venezia Giulia che saranno ospitati, fra pochi giorni, in numero di 1500, in questo Campo di concentramento.” Molti speravano di poter trovare lavoro, ma Servigliano e il suo circondario non potevano offrire grandi possibilità di inserimento ed i gruppi-famiglia, dopo una breve permanenza, facevano richiesta di essere tra-sferiti in campi vicini a grandi centri urbani dove potesse essere più facile trovare un’occupazione. I profughi riproponevano feste e tradizioni proprie che avevano lo scopo di rinsaldare i rapporti e tenere vivi aspetti che caratterizzavano l’identità culturale di provenienza. Le feste erano vissute come momenti di grande socialità in uno stile semplice. Vi era una grande piazzola nel Campo che veniva usata per queste
occasioni ed a suonare era un’orchestra mista, formata da serviglianesi e profughi, che peraltro girava per i paesini della valle, sempre acclamata, anche se ogni tanto doveva cambiare qualche elemento a causa delle partenze o degli arrivi. I giovani si ritrovavano anche per fare teatro. In un articolo sul Momento Sera del 12 aprile 1950, viene recensito uno spettacolo teatrale presentato al Comunale di Servigliano. Si legge: “Tutti hanno fatto del loro meglio in particolare Ileana Sviben.” Ileana Sviben abitava nel C.R.P. L’articolo si chiude precisando che l’incasso della serata sarebbe stato devoluto ai bambini profughi.


Molti si prestavano per lavori occasionali, d’altronde era necessario darsi da fare. Anche i giovani si senti-vano responsabilizzati per le difficoltà in cui versavano le famiglie e quando trovavano l’occasione si dedi-cavano volentieri a qualche occupazione. In quegli anni, la situazione economica non era rosea neanche per i serviglianesi e, ovviamente, il lavoro era scarso e mal pagato. Nonostante la grande mobilità, i profu-ghi non erano estranei alla vita del paese e i buoni rapporti tra chi abitava le baracche e la gente del circon-dario portarono alla celebrazione di numerosi matrimoni misti. I profughi godevano di diritti politici e la loro presenza portò Servigliano ad avere oltre 2.000 elettori.


Questa è l’immagine rimasta nella mente del serviglianese Ottorino Prosperi: “Tanti profughi si mischiava-no ai paesani per andare in chiesa, per fare compere o solo per passeggiare ed uscire dal Campo, un luogo che certamente non era esaltante. Siccome i profughi provenivano da tanti luoghi diversi, perfino dalla Cina, si aveva l’impressione di vivere in una cittadina cosmopolita.” Secondo alcune stime, i profughi passati dal Campo dovrebbero essere tra i 40mila e i 50mila, fermandosi giorni, settimane o anni. Dalle schede presenti nell’Archivio storico di Servigliano è possibile abbozzare un quadro circa la provenienza dei nuclei familia-ri. Il gruppo giuliano-dalmata risulta il più numeroso con 822 schede familiari, ma appare significativo il numero dei provenienti dalle ex colonie (Libia, Albania e Corno d’Africa). Inaspettato è invece il dato rela-tivo ai 114 nuclei familiari esuli dalla Romania. Tanti si recheranno all’estero, principalmente nelle Ameri-che (Stati Uniti, Canada, Venezuela, Brasile e Argentina) e in Australia. Si partiva con chiamata del Con-solato italiano e quasi sempre per motivi di lavoro. Intere comunità si ritroveranno così oltreoceano, ricosti-tuendo rapporti parentali che erano stati violati. Nel luglio ’55 gli ultimi ospiti del Campo vennero trasferiti ad Ascoli Piceno, dove erano state realizzate alcune abitazioni per loro. Anche la squadra di calcio di Servigliano potenziò il proprio organico con l’inserimento di profughi. Ri-mangono ancora nella memoria di alcuni testimoni due partite giocate con l’Ancona.


“C’era tra i profughi qualche calciatore che militava nella squadra di Servigliano,” ricorda il serviglianese Renato Abbati, “erano dei veri professionisti. […] La Serviglianese militava in un torneo basso, ma una vol-ta andammo a giocare con l’Ancona. Avevamo con noi due o forse tre profughi che erano da serie A. Alla fine dei 90 minuti uscimmo vittoriosi per 1 a 0.”







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Campo di Concentramento per Ebrei



Da questo momento in poi gli arresti furono effettuati dai carabinieri coordinati dalla questura di Ascoli Piceno. In pochi giorni, riuscirono a concentrare nel Campo alcune decine di ebrei. L’11 e 12 Ottobre 1943 i carabinieri di Offida e Castignano procedettero al trasferimento a Servigliano degli ebrei presenti ancora nel posto.


Alla fine di ottobre, dopo che alcuni ebrei erano arrivati dal comune di Montalto Marche, il mare-sciallo maggiore Giuseppe di Bernardino, comandante dei carabinieri del nucleo addetto alla sor-veglianza, trasmetteva l’elenco nominativo degli “internati civili nel Campo di concentramento di Servigliano suddivisi per nazionalità e razza”. Nell’elenco risultavano presenti 62 persone che probabilmente occupavano solo 2 baracche, una per le donne ed i bambini e una per gli uomini. In realtà il numero degli ebrei internati era superiore, ma la notte tra il 15 e il 16 ottobre, 10 di essi, approfittando della scarsa vigilanza, scavalcarono le mura di cinta del Campo e riuscirono a fug-gire. Fino alla fine dell’anno la situazione del Campo rimase pressoché immutata.



Le condizioni di vita degli internati di Servigliano erano pessime. Il vitto veniva corrisposto in una mensa
comune fatta allestire dalla direzione, ma, per l’insufficienza dei viveri disponibili, non si riusciva a garan-tire a tutti un pasto adeguato; inoltre non veniva corrisposto alcun sussidio. In quello stesso mese un grup-po di partigiani si era introdotto nel Campo, esortando inutilmente gli internati a fuggire. Fuga che, tutta-via, avvenne nell’aprile successivo, quando circa 10 ebrei, aiutati dalla gente del posto, riuscirono con suc-cesso ad evadere dal Campo. La possibilità di allontanarsi era agevolata dalla scarsa sorveglianza effettuata dai militari preposti, quasi completamente disarmati, e dalla facilità con la quale era possibile scavalcare la cinta di mura alta circa 3 metri.


Ma l’impresa risultò particolarmente ardua per la maggior parte degli internati, riuniti in interi nuclei fami-liari, con donne e bambini, per i quali la difficoltà della fuga e l’incertezza di riuscire a trovare un nascon-diglio sicuro, comportavano un rischio troppo grande: fu per questo che non si verificò un’evasione di mas-sa.
Il 3 maggio seguente, alle 22.30, un aereo, probabilmente di nazionalità inglese, bombardò il Campo pro-vocando l’apertura di una breccia sul muro di cinta e la distruzione di alcune baracche; un’internata perse la vita, mentre un carabiniere ed altri due internati, un uomo ed una donna, rimasero feriti; tutti gli altri detenuti nel Campo, presi dal panico, si dispersero nella zona circostante durante la notte. Il mattino seguente, i mi-litari addetti alla sorveglianza con l’aiuto del commissario del comune, dell’ufficiale sanitario e di altri cit-tadini del posto convinsero gli internati, che non volevano rientrare nel Campo, a sistemarsi nelle scuole, al Dopolavoro e in alcuni stabili del paese che erano stati precedentemente requisiti.


Dei 50 ebrei presenti a Servigliano, solo in 19 riuscirono ad evitare la cattura, gli altri 31 vennero subito ri-presi dai carabinieri, aiutati da alcune segnalazioni degli abitanti e presi in consegna dai tedeschi, che con i loro mezzi li tradussero nel Campo di Fossoli, divenuto in Italia il principale Campo di internamento e di transito. La gran parte dei convogli partiti da Fossoli tra il 19 febbraio e il 2 agosto 1944 era diretta ad Au-schwitz, così come quello che partì il 16 maggio, con il quale vennero deportati gli ebrei di Servigliano. Il convoglio, composto da 581 persone, giunse nel Campo di concentramento polacco il 23 successivo. Tra gli ebrei provenienti da Servigliano, 10 vennero uccisi al loro arrivo nel Campo di sterminio, mentre gli al-tri morirono di stenti e per i maltrattamenti subiti. Di questi solo Susanna Hauser riuscì a salvarsi e venne liberata nel gennaio del 1945.







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Seconda Guerra Mondiale



Sul finire degli anni Trenta, il regime fascista iniziò a porsi il problema dell’internamento da adot-tare, in caso di belligeranza, nei confronti di antifascisti ed ebrei italiani, oltre che di cittadini stra-nieri. La scelta delle località dove costruire o attivare campi di prigionia e concentramento doveva rispondere alle seguenti linee generali tracciate dal Ministero della Guerra; detti campi dovevano essere costruiti in zone:


• militarmente poco importanti;
• lontane dalle grandi città e non facilmente raggiungibili;
• lontane da grandi arterie di comunicazione
• scarsamente popolate;
• dove la popolazione fosse
• scarsamente sensibile alla politica.



Servigliano, dove già sorgeva un Campo mantenuto sotto il controllo militare, rispon-deva ancora una volta a tutti i requisiti voluti dal Ministero della Guerra.
Così, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, nel settembre del '39,
L'Italia fascista pur dichiarando la non belligeranza avviò i lavori di ripristino di alcuni ex campi di prigionia della prima guerra mondiale, fra cui quello di Servigliano. L'anno dopo, il 10 giugno 1940, Mussolini, ammirato dalle straordinarie vittorie tedesche, de-cise l'ingresso in guerra a fianco della Germania. Il 5 Gennaio 1941 il Campo di Servi-gliano (CPG 59) venne ufficialmente riaperto per accogliere nuovamente prigionieri di guerra. La sua capienza massima era adesso di 2000 posti. A guardia del Campo venne-ro preposti i Carabinieri coadiuvati da agenti di Pubblica Sicurezza. Il colonnello Enri-co Bacci, del IX Corpo d’Armata, fu designato comandante. Nel febbraio del 1941, iniziò l'arrivo di prigionieri greci che, verso la fine dell'anno, parte furono trasferiti in Liguria e in Sardegna, e parte vennero rimpatriati; questo avvenne per far spazio ai prigionieri alleati che erano stati catturati in Nord Africa e che cominciavano ad arrivare nella Pe-nisola. Il Campo restò vuoto per tutto il mese di gennaio 1942, a febbraio arrivarono i primi prigionieri alleati. Il loro numero andò progressivamente crescendo fino a rag-giungere la capienza massima nel maggio del 1942.


Nel marzo del 1943, secondo l’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’esercito, vi erano a Servigliano 1445 Britannici, 464 Americani e 4 Francesi, cioè un totale di 1913 prigionieri; si noti che sotto la cifra 1445 britannici le autorità italiane intendevano tutte le altre nazionalità alleate presenti nel Campo: irlandesi, canadesi, ciprioti, neo-zelandesi, australiani, polacchi, sudafricani, palestinesi (2), maltesi (2), rodesiani (1), norvegesi (6). I numeri delle differenti nazionalità si trovano nel rapporto della Croce Rossa per lo stesso periodo, il quale dice che c’erano 1902 prigionieri. La differenza di soli 11 prigionieri tra le fonti italiane e quelle Svizzere può essere considerata una con-ferma dei dati presenti negli archivi italiani ed esteri. Durante il corso del 1943 molti prigionieri inglesi vennero trasferiti al Campo CPG 53 di Sforzacosta e anche in nume-rosi campi di lavoro in nord Italia: questi spostamenti avvenivano per far posto a Ser-vigliano ai prigionieri americani. Questi ultimi passarono da 445, nel marzo ’43, a 913 solo due mesi più tardi, cioè in giugno, quando la Croce Rossa ispezionò il Campo per l’ultima volta. Il numero degli inglesi nello stesso arco di tempo passò da 1337 a 313. Dopo l'8 settembre 1943, col diffondersi della notizia che era stato firmato un armisti-zio tra l'Italia e gli alleati, anche nel Campo di Servigliano i prigionieri parteciparono all'euforia che aveva contagiato tutti; ma la guerra era davvero finita? La risposta non tardò ad arrivare: nel giro di qualche giorno circolò la voce che alcune divisioni tede-sche stavano invadendo l'Italia. La notizia allarmò tutti i prigionieri presenti. La sera del 14 settembre, esattamente 6 giorni dopo che l’armistizio era stato reso noto, tutti i prigionieri del Campo si dispersero nella valle del Tenna. fuga può essere considerata un evento unico per tutta la regione, poiché gli altri due campi di Sforzacosta e Monte Urano furono circondati dai soldati tedeschi e i prigionieri trasferiti in Germania. Il successo della fuga da Servigliano è da accreditarsi alla prontezza del capitano medico John Dereck Millar, il quale non esitò ad assumersi la responsabilità dell’evacuazione di fronte al comando italiano13. Il Campo, abbandonato anche dalle guardie italiane, fu ripetutamente saccheggiato dai prigionieri e dai civili, in modo particolare il magazzi-no, che conteneva pacchi viveri e molti indumenti.
I prigionieri in fuga avevano bisogno di assistenza per sfamarsi, nascondersi, orientarsi e tale assistenza veniva offerta dalla grande maggioranza degli italiani con cui entra-vano in contatto, soprattutto dai contadini.14 Non bisogna dimenticare quanto fosse pericoloso aiutare. Un ben noto proclama dell’ottobre 1943 recitava: ‘Chiunque presti aiuto in qualsiasi modo ai prigionieri di guerra evasi dai campi di concentramento o conceda ospi-talità ad appartenenti alle forze armate nemiche allo scopo di facilitarne la fuga o occultarne la presenza è punito con la pena di morte.


Numerosi diari ricordano queste gesta di spontanea generosità. Ken de Souza scappato dal Campo di Monte Urano PG 70 vicino Fermo descrive l’esperienza dell’accoglienza nel suo diario: ‘La generosità di questa gente di campagna dal cuore così grande era tale che ogni famiglia, nel raggio di diversi Km, desiderava contribuire al nostro benessere (…) Proprio come eravamo meravigliati della soverchiante generosità dei contadini, così lo eravamo per l’assoluta semplicità del loro stile di vita: niente elettricità, niente gas, niente acqua in tubazioni, niente tappeti, niente sedie con braccioli o poltrone – nessuna comodità che le famiglie inglesi dell’epoca davano per scontate.


Essi finirono, a volte, per sentirsi membri della famiglia che li ospitava. Fu così che la maggioranza dei prigionieri alleati in fuga rimase nascosta presso i contadini delle campagne italiane. Erano circa 25.000 di cui 2000 scappati da Servigliano. Furono epi-sodi di grande coraggio e umanità che contribuirono a scrivere anche una straordinaria pagina di Resistenza Civile al nazifascismo.15 La campagna militare per liberare l’Italia durò dal momento dello sbarco in Sicilia nel luglio del 1943 fino alla fine della guerra nell’aprile del ’45. Gli alleati persero circa 167.000 uomini per liberare la penisola, di questi 90.000 erano polacchi.




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Deposito Militare



Nel mentre procedeva il rimpatrio dei prigionieri, autorità e notabili della provincia erano impe-gnati affinché il Ministero della Guerra cedesse il Campo al Comune per convertirlo in attività civili. Ma la Divisione Demanio Militare del Ministero della Guerra il 29 novembre rese nota la sua deci-sione: “[...] si comunica che la cessione del Campo concentramento prigionieri di Servigliano alla So-cietà Adriatica Pesca e Trasporti non è possibile, dato che il Campo stesso occorre all'Amministra-zione Militare per i propri servizi.”12 Subito la Sezione Staccata di Artiglieria di Ancona ne assunse la gestione destinandolo a deposito di materiale vario. Intorno al 1935, la Divisione del Demanio Militare decise di smantellare una metà del Campo di concentramento per permettere la realizza-zione di un Campo di calcio voluto dal Dopolavoro Comunale. Venne così eretto un muro in matto-ni per delimitare il nuovo perimetro. Tale operazione di fatto ne dimezzò la capacità ricettiva, passata da 4000 a 2000 unità. Il settore che restava in funzione fu utilizzato dal governo fascista come deposi-to di materiale bellico, in parte inviato in Spagna durante la Guerra Civile (1936-1939).
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Seconda Guerra Mondiale



Sul finire degli anni Trenta, il regime fascista iniziò a porsi il problema dell’internamento da adot-tare, in caso di belligeranza, nei confronti di antifascisti ed ebrei italiani, oltre che di cittadini stra-nieri. La scelta delle località dove costruire o attivare campi di prigionia e concentramento doveva rispondere alle seguenti linee generali tracciate dal Ministero della Guerra; detti campi dovevano essere costruiti in zone:


• militarmente poco importanti;
• lontane dalle grandi città e non facilmente raggiungibili;
• lontane da grandi arterie di comunicazione
• scarsamente popolate;
• dove la popolazione fosse
• scarsamente sensibile alla politica.



Servigliano, dove già sorgeva un Campo mantenuto sotto il controllo militare, rispon-deva ancora una volta a tutti i requisiti voluti dal Ministero della Guerra.
Così, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, nel settembre del '39,
L'Italia fascista pur dichiarando la non belligeranza avviò i lavori di ripristino di alcuni ex campi di prigionia della prima guerra mondiale, fra cui quello di Servigliano. L'anno dopo, il 10 giugno 1940, Mussolini, ammirato dalle straordinarie vittorie tedesche, de-cise l'ingresso in guerra a fianco della Germania. Il 5 Gennaio 1941 il Campo di Servi-gliano (CPG 59) venne ufficialmente riaperto per accogliere nuovamente prigionieri di guerra. La sua capienza massima era adesso di 2000 posti. A guardia del Campo venne-ro preposti i Carabinieri coadiuvati da agenti di Pubblica Sicurezza. Il colonnello Enri-co Bacci, del IX Corpo d’Armata, fu designato comandante. Nel febbraio del 1941, iniziò l'arrivo di prigionieri greci che, verso la fine dell'anno, parte furono trasferiti in Liguria e in Sardegna, e parte vennero rimpatriati; questo avvenne per far spazio ai prigionieri alleati che erano stati catturati in Nord Africa e che cominciavano ad arrivare nella Pe-nisola. Il Campo restò vuoto per tutto il mese di gennaio 1942, a febbraio arrivarono i primi prigionieri alleati. Il loro numero andò progressivamente crescendo fino a rag-giungere la capienza massima nel maggio del 1942.


Nel marzo del 1943, secondo l’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’esercito, vi erano a Servigliano 1445 Britannici, 464 Americani e 4 Francesi, cioè un totale di 1913 prigionieri; si noti che sotto la cifra 1445 britannici le autorità italiane intendevano tutte le altre nazionalità alleate presenti nel Campo: irlandesi, canadesi, ciprioti, neo-zelandesi, australiani, polacchi, sudafricani, palestinesi (2), maltesi (2), rodesiani (1), norvegesi (6). I numeri delle differenti nazionalità si trovano nel rapporto della Croce Rossa per lo stesso periodo, il quale dice che c’erano 1902 prigionieri. La differenza di soli 11 prigionieri tra le fonti italiane e quelle Svizzere può essere considerata una con-ferma dei dati presenti negli archivi italiani ed esteri. Durante il corso del 1943 molti prigionieri inglesi vennero trasferiti al Campo CPG 53 di Sforzacosta e anche in nume-rosi campi di lavoro in nord Italia: questi spostamenti avvenivano per far posto a Ser-vigliano ai prigionieri americani. Questi ultimi passarono da 445, nel marzo ’43, a 913 solo due mesi più tardi, cioè in giugno, quando la Croce Rossa ispezionò il Campo per l’ultima volta. Il numero degli inglesi nello stesso arco di tempo passò da 1337 a 313. Dopo l'8 settembre 1943, col diffondersi della notizia che era stato firmato un armisti-zio tra l'Italia e gli alleati, anche nel Campo di Servigliano i prigionieri parteciparono all'euforia che aveva contagiato tutti; ma la guerra era davvero finita? La risposta non tardò ad arrivare: nel giro di qualche giorno circolò la voce che alcune divisioni tede-sche stavano invadendo l'Italia. La notizia allarmò tutti i prigionieri presenti. La sera del 14 settembre, esattamente 6 giorni dopo che l’armistizio era stato reso noto, tutti i prigionieri del Campo si dispersero nella valle del Tenna. fuga può essere considerata un evento unico per tutta la regione, poiché gli altri due campi di Sforzacosta e Monte Urano furono circondati dai soldati tedeschi e i prigionieri trasferiti in Germania. Il successo della fuga da Servigliano è da accreditarsi alla prontezza del capitano medico John Dereck Millar, il quale non esitò ad assumersi la responsabilità dell’evacuazione di fronte al comando italiano13. Il Campo, abbandonato anche dalle guardie italiane, fu ripetutamente saccheggiato dai prigionieri e dai civili, in modo particolare il magazzi-no, che conteneva pacchi viveri e molti indumenti.
I prigionieri in fuga avevano bisogno di assistenza per sfamarsi, nascondersi, orientarsi e tale assistenza veniva offerta dalla grande maggioranza degli italiani con cui entra-vano in contatto, soprattutto dai contadini.14 Non bisogna dimenticare quanto fosse pericoloso aiutare. Un ben noto proclama dell’ottobre 1943 recitava: ‘Chiunque presti aiuto in qualsiasi modo ai prigionieri di guerra evasi dai campi di concentramento o conceda ospi-talità ad appartenenti alle forze armate nemiche allo scopo di facilitarne la fuga o occultarne la presenza è punito con la pena di morte.


Numerosi diari ricordano queste gesta di spontanea generosità. Ken de Souza scappato dal Campo di Monte Urano PG 70 vicino Fermo descrive l’esperienza dell’accoglienza nel suo diario: ‘La generosità di questa gente di campagna dal cuore così grande era tale che ogni famiglia, nel raggio di diversi Km, desiderava contribuire al nostro benessere (…) Proprio come eravamo meravigliati della soverchiante generosità dei contadini, così lo eravamo per l’assoluta semplicità del loro stile di vita: niente elettricità, niente gas, niente acqua in tubazioni, niente tappeti, niente sedie con braccioli o poltrone – nessuna comodità che le famiglie inglesi dell’epoca davano per scontate.


Essi finirono, a volte, per sentirsi membri della famiglia che li ospitava. Fu così che la maggioranza dei prigionieri alleati in fuga rimase nascosta presso i contadini delle campagne italiane. Erano circa 25.000 di cui 2000 scappati da Servigliano. Furono epi-sodi di grande coraggio e umanità che contribuirono a scrivere anche una straordinaria pagina di Resistenza Civile al nazifascismo.15 La campagna militare per liberare l’Italia durò dal momento dello sbarco in Sicilia nel luglio del 1943 fino alla fine della guerra nell’aprile del ’45. Gli alleati persero circa 167.000 uomini per liberare la penisola, di questi 90.000 erano polacchi.




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Campo di Concentramento per Ebrei



Da questo momento in poi gli arresti furono effettuati dai carabinieri coordinati dalla questura di Ascoli Piceno. In pochi giorni, riuscirono a concentrare nel Campo alcune decine di ebrei. L’11 e 12 Ottobre 1943 i carabinieri di Offida e Castignano procedettero al trasferimento a Servigliano degli ebrei presenti ancora nel posto.


Alla fine di ottobre, dopo che alcuni ebrei erano arrivati dal comune di Montalto Marche, il mare-sciallo maggiore Giuseppe di Bernardino, comandante dei carabinieri del nucleo addetto alla sor-veglianza, trasmetteva l’elenco nominativo degli “internati civili nel Campo di concentramento di Servigliano suddivisi per nazionalità e razza”. Nell’elenco risultavano presenti 62 persone che probabilmente occupavano solo 2 baracche, una per le donne ed i bambini e una per gli uomini. In realtà il numero degli ebrei internati era superiore, ma la notte tra il 15 e il 16 ottobre, 10 di essi, approfittando della scarsa vigilanza, scavalcarono le mura di cinta del Campo e riuscirono a fug-gire. Fino alla fine dell’anno la situazione del Campo rimase pressoché immutata.



Le condizioni di vita degli internati di Servigliano erano pessime. Il vitto veniva corrisposto in una mensa
comune fatta allestire dalla direzione, ma, per l’insufficienza dei viveri disponibili, non si riusciva a garan-tire a tutti un pasto adeguato; inoltre non veniva corrisposto alcun sussidio. In quello stesso mese un grup-po di partigiani si era introdotto nel Campo, esortando inutilmente gli internati a fuggire. Fuga che, tutta-via, avvenne nell’aprile successivo, quando circa 10 ebrei, aiutati dalla gente del posto, riuscirono con suc-cesso ad evadere dal Campo. La possibilità di allontanarsi era agevolata dalla scarsa sorveglianza effettuata dai militari preposti, quasi completamente disarmati, e dalla facilità con la quale era possibile scavalcare la cinta di mura alta circa 3 metri.


Ma l’impresa risultò particolarmente ardua per la maggior parte degli internati, riuniti in interi nuclei fami-liari, con donne e bambini, per i quali la difficoltà della fuga e l’incertezza di riuscire a trovare un nascon-diglio sicuro, comportavano un rischio troppo grande: fu per questo che non si verificò un’evasione di mas-sa.
Il 3 maggio seguente, alle 22.30, un aereo, probabilmente di nazionalità inglese, bombardò il Campo pro-vocando l’apertura di una breccia sul muro di cinta e la distruzione di alcune baracche; un’internata perse la vita, mentre un carabiniere ed altri due internati, un uomo ed una donna, rimasero feriti; tutti gli altri detenuti nel Campo, presi dal panico, si dispersero nella zona circostante durante la notte. Il mattino seguente, i mi-litari addetti alla sorveglianza con l’aiuto del commissario del comune, dell’ufficiale sanitario e di altri cit-tadini del posto convinsero gli internati, che non volevano rientrare nel Campo, a sistemarsi nelle scuole, al Dopolavoro e in alcuni stabili del paese che erano stati precedentemente requisiti.


Dei 50 ebrei presenti a Servigliano, solo in 19 riuscirono ad evitare la cattura, gli altri 31 vennero subito ri-presi dai carabinieri, aiutati da alcune segnalazioni degli abitanti e presi in consegna dai tedeschi, che con i loro mezzi li tradussero nel Campo di Fossoli, divenuto in Italia il principale Campo di internamento e di transito. La gran parte dei convogli partiti da Fossoli tra il 19 febbraio e il 2 agosto 1944 era diretta ad Au-schwitz, così come quello che partì il 16 maggio, con il quale vennero deportati gli ebrei di Servigliano. Il convoglio, composto da 581 persone, giunse nel Campo di concentramento polacco il 23 successivo. Tra gli ebrei provenienti da Servigliano, 10 vennero uccisi al loro arrivo nel Campo di sterminio, mentre gli al-tri morirono di stenti e per i maltrattamenti subiti. Di questi solo Susanna Hauser riuscì a salvarsi e venne liberata nel gennaio del 1945.







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Campo di Raccolta Profughi - Smantellamento



Intanto, a giugno del '44, trasportati dai camion, giunsero nel Campo anche numerosi civili. Si trattava di profughi slavi, sloveni per la precisione, che parlavano il serbocroato. Era un’intera comunità di quasi 1300 persone, formata da nuclei familiari con bambini e vecchi. Il loro status era tutelato da un organismo dell’Onu, che nei primi anni del secondo dopoguerra si occupava di profughi: l’IRO (International Refugee Organisation). Nell’estate del 1946 il Campo venne evacuato. I primi a partire furono i militari polacchi, che lasciarono Servigliano il 1° luglio. Sempre in estate, iniziarono anche le operazioni di trasferimento dei profughi sloveni verso il Campo di Senigallia, completate il 24 luglio 1946. L’IRO aveva già concluso un accordo con l’Argentina per il loro espatrio. La presenza di profughi slavi in Italia era tutt’altro che margi-nale e andava ben oltre quel migliaio che nel ’46 lasciò Servigliano.


Nella valle del Tenna, anche l’ex Cam-po di prigionia di Fermo, gestito dall’IRO, venne utilizzato come Campo profughi per circa 2.000 croati, molti dei quali si rivelarono legati agli ustascia. La loro presenza portò forti tensioni nel circondario. Tra l'altro, nella stessa struttura erano ospitati ebrei provenienti dai campi di concentramento tedeschi, anch'es-si in attesa di espatriare. Si trattava di profughi senza documenti di identità (i Desplaced Persons) che, per-seguitati durante gli anni del nazismo nei propri paesi d’origine, si rifiutavano di ritornarvi. Vittime e car-nefici si trovarono così gomito a gomito, e non mancarono casi di violenze dentro e fuori il Campo. Alcuni documenti dell’Ufficio storico dello stato maggiore dell’esercito registrano la presenza di ustascia anche nel CRP di Servigliano.[7] Giorgio Cingolani, Gli slavi in Italia: collaborazionisti, … (1945-1950), in Violenze e ingiustizie, Clueb, Bologna, 2003.


La rapida partenza di oltre duemila persone, tra profughi sloveni e militari polacchi, diede l’impressione di un paese svuotato. Ma, qualche giorno dopo, la direzione procedette a nuove disinfestazioni e restauri, per l’arrivo di altri profughi. Formalmente, l'accoglienza dei profughi giuliano dalmati nel Campo di Serviglia-no iniziò il 20 settembre 1947, con personale del Ministero dell’Interno e corpo di guardia affidato ai cara-binieri. All’ingresso venne apposta la scritta ‘Centro Raccolta Profughi’.


Da subito affluirono decine di persone, riunite in piccoli gruppi trasportati dal trenino, di nuovo in servizio dopo il rifacimento del ponte e di un tratto della linea ferroviaria. Alla stazione, venivano accolti da un ad-detto del CRP e guidati verso le baracche. Il 25 ottobre 1947, la P.C.A. (Pontificia Commissione Assisten-za) nominò cappellano del CRP don Vincenzo Nicolai. Quando il trenino arrivava alla stazione di Servi-gliano, i profughi si trovavano davanti agli occhi una struttura concepita per la reclusione di soldati, con un alto muro di cinta sovrastato da filo spinato, cocci di vetro e torrette di guardia. Tutto questo generava una grande nostalgia per le case lasciate. I più sottolineano il livello di estrema essenzialità, per quanto riguarda la sistemazione nelle baracche. In effetti la struttura non era in grado di rispondere alle più elementari esi-genze di riservatezza. Le baracche venivano divise in stanzoni usando delle coperte, senza porte, che non permette-vano alcuna forma di intimità. Il CRP offriva, oltre alla precaria sistemazione nelle baracche, dei pasti caldi che poi furono sostituiti con un modestissimo sussidio in denaro. In una lettera del '45, l’Ufficio Provincia-le Profughi di Guerra stabiliva il soccorso giornaliero da erogare ai profughi:
per persone isolate L. 20 giornaliere
per ogni componente la famiglia di più persone adulte L. 17 giornaliere
per ogni componente della famiglia di età inferiore a 15 anni L. 14


Nel gennaio del 1947, mossi da ragioni solidaristiche, alcuni cittadini di Servigliano costituirono sponta-neamente un Comitato Assistenza Profughi allo scopo “… di soccorrere moralmente e materialmente i fra-telli della Venezia Giulia che saranno ospitati, fra pochi giorni, in numero di 1500, in questo Campo di concentramento.” Molti speravano di poter trovare lavoro, ma Servigliano e il suo circondario non potevano offrire grandi possibilità di inserimento ed i gruppi-famiglia, dopo una breve permanenza, facevano richiesta di essere tra-sferiti in campi vicini a grandi centri urbani dove potesse essere più facile trovare un’occupazione. I profughi riproponevano feste e tradizioni proprie che avevano lo scopo di rinsaldare i rapporti e tenere vivi aspetti che caratterizzavano l’identità culturale di provenienza. Le feste erano vissute come momenti di grande socialità in uno stile semplice. Vi era una grande piazzola nel Campo che veniva usata per queste
occasioni ed a suonare era un’orchestra mista, formata da serviglianesi e profughi, che peraltro girava per i paesini della valle, sempre acclamata, anche se ogni tanto doveva cambiare qualche elemento a causa delle partenze o degli arrivi. I giovani si ritrovavano anche per fare teatro. In un articolo sul Momento Sera del 12 aprile 1950, viene recensito uno spettacolo teatrale presentato al Comunale di Servigliano. Si legge: “Tutti hanno fatto del loro meglio in particolare Ileana Sviben.” Ileana Sviben abitava nel C.R.P. L’articolo si chiude precisando che l’incasso della serata sarebbe stato devoluto ai bambini profughi.


Molti si prestavano per lavori occasionali, d’altronde era necessario darsi da fare. Anche i giovani si senti-vano responsabilizzati per le difficoltà in cui versavano le famiglie e quando trovavano l’occasione si dedi-cavano volentieri a qualche occupazione. In quegli anni, la situazione economica non era rosea neanche per i serviglianesi e, ovviamente, il lavoro era scarso e mal pagato. Nonostante la grande mobilità, i profu-ghi non erano estranei alla vita del paese e i buoni rapporti tra chi abitava le baracche e la gente del circon-dario portarono alla celebrazione di numerosi matrimoni misti. I profughi godevano di diritti politici e la loro presenza portò Servigliano ad avere oltre 2.000 elettori.


Questa è l’immagine rimasta nella mente del serviglianese Ottorino Prosperi: “Tanti profughi si mischiava-no ai paesani per andare in chiesa, per fare compere o solo per passeggiare ed uscire dal Campo, un luogo che certamente non era esaltante. Siccome i profughi provenivano da tanti luoghi diversi, perfino dalla Cina, si aveva l’impressione di vivere in una cittadina cosmopolita.” Secondo alcune stime, i profughi passati dal Campo dovrebbero essere tra i 40mila e i 50mila, fermandosi giorni, settimane o anni. Dalle schede presenti nell’Archivio storico di Servigliano è possibile abbozzare un quadro circa la provenienza dei nuclei familia-ri. Il gruppo giuliano-dalmata risulta il più numeroso con 822 schede familiari, ma appare significativo il numero dei provenienti dalle ex colonie (Libia, Albania e Corno d’Africa). Inaspettato è invece il dato rela-tivo ai 114 nuclei familiari esuli dalla Romania. Tanti si recheranno all’estero, principalmente nelle Ameri-che (Stati Uniti, Canada, Venezuela, Brasile e Argentina) e in Australia. Si partiva con chiamata del Con-solato italiano e quasi sempre per motivi di lavoro. Intere comunità si ritroveranno così oltreoceano, ricosti-tuendo rapporti parentali che erano stati violati. Nel luglio ’55 gli ultimi ospiti del Campo vennero trasferiti ad Ascoli Piceno, dove erano state realizzate alcune abitazioni per loro. Anche la squadra di calcio di Servigliano potenziò il proprio organico con l’inserimento di profughi. Ri-mangono ancora nella memoria di alcuni testimoni due partite giocate con l’Ancona.


“C’era tra i profughi qualche calciatore che militava nella squadra di Servigliano,” ricorda il serviglianese Renato Abbati, “erano dei veri professionisti. […] La Serviglianese militava in un torneo basso, ma una vol-ta andammo a giocare con l’Ancona. Avevamo con noi due o forse tre profughi che erano da serie A. Alla fine dei 90 minuti uscimmo vittoriosi per 1 a 0.”







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L’associazione La Casa della Memoria organizza su richiesta visite guidate al Campo di Servigliano. Poiché sarà uno dei volontari dell’associazione ad accompagnarvi nel tour, chiediamo di prenotare con almeno 24 ore di anticipo rispetto al giorno della vostra visita.


Siete una scuola? Abbiamo un programma specifico per le vostre attività didattiche. Scriveteci per maggiori informazioni.


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Prima Guerra Mondiale


L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria dopo le “radiose giornate” del maggio 1915, nonostante il chiaro orientamento neutralista della popolazione e della maggio-ranza del Parlamento. Erano neutralisti i due grandi partiti di massa: i socialisti e i po-polari. L'opposizione alla guerra era sentimento molto diffuso tra la gente se, come sostie-ne lo storico inglese E. Hobsbawn, molti di coloro che combatterono nella prima guerra mondiale, per lo più arruolati con la coscrizione obbligatoria, maturarono una convinta scelta pacifista. L'altro schieramento, quello degli interventisti, favorevoli alla guerra, era formato da nazionalisti, da settori socio-economici vicini ai grandi interessi industriali e da chiassosi intellettuali, per i quali simpatizzava la borghesia cittadina. Come nelle grandi piazze d'Italia, anche nella Valle del Tenna il dibattito si era presentato acceso e vennero stabilite inedite alleanze. Le due testate d'opinione più diffuse, La Lotta, orga-no della Federazione Socialista di Fermo e La Voce delle Marche, organo della Diocesi di Fermo, tradizionalmente su posizioni diverse e sempre in polemica tra loro, avevano scoperto, già dal luglio del 1914, allo scoppio della guerra, una imbarazzata ma non re-pressa vicinanza. Questi alcuni titoli dei due giornali: Il 14 agosto 1914, a pochi giorni dall'inizio delle operazioni militari nei Balcani, La Voce delle Marche affermava la posizione neutralista della chiesa titolando: “IL VATICANO E LA GUERRA EUROPEA”.


Il 23 dello stesso mese, anche La Lotta insisteva sul neutralismo, titolando: “ABBASSO LA GUERRA”. Dunque, nonostante la vasta opposizione alla guerra e le ter-ribili notizie provenienti dall'Europa continentale, dove eserciti dotati di armamenti sempre più devastanti stavano producendo immani distruzioni con migliaia di morti, il 24 maggio 1915 il re e il governo decisero di gettare L'Italia nel conflitto. Ben presto iniziò la conta, oltre che dei caduti, anche dei soldati nemici catturati. Si pose così il problema di realizzare dei campi di prigionia. Ogni comando di Corpo d’Armata fornì una lista di località idonee alla costruzione di campi di concentramento. Il comando di Corpo di Armata di Ancona, sottosezione di Chieti, trasmise al sindaco di Servigliano, in data 20 agosto 1915, una relazione a corredo della proposta per la costruzione di un grande “Campo di concentrazione di prigionieri di guerra”.
Le località scelte per la costruzione di tali campi dovevano “Essere poste fuori dalle zo-ne di guerra, in terreno pianeggiante, in plaga salubre e ben fornita di acqua, lontana dai centri industriali ed infine facilmente sorvegliabile”. Il sito di Servigliano risultò molto interessante per l'aspetto logistico, “Fuori dalla zona di guerra e lontano da nodi stradali dove l’agglomerato di molti prigionieri non sarebbe opportuno, tuttavia si giova di comu-nicazioni facili ed è connesso alla grande rete stradale mediante una ferrovia a vapore a scartamento di m. 0.95 di sufficiente potenzialità.” Ma anche per l'aspetto socio-economico della Media Valle del Tenna, presentata come preminentemente agricola, dunque priva di “...addensamenti di masse operaie e prospe-ra invece l’artigianato: non si ha traccia di quelle agitazioni proletarie che altrove, sotto la larva di miglioramenti economici, nascondono sovente propositi di sovvertimento politi-co e sociale.”
L’interessamento del Genio Militare per il piccolo centro di Servigliano non cadde nel vuoto. Nell’autunno del 1915, a cura dell’ingegnere Eugenio Fagiuoli, furono espropria-ti circa 3 ettari di terreno per dare inizio alla costruzione del Campo. Un anno dopo, nell'estate del 1916, l'ex deputato Romolo Murri decise di effettuare un sopralluogo per capire come stessero procedendo i lavori. A conclusione di questa sua indagine, scrisse una lettera al deputato socialista Leonida Bissolati, formulando alcune domande:


Perché era stato abbandono del progetto primitivo che prevedeva l'uso del calcestruzzo?
Perché la capacità ricettiva del Campo era passata da 10.000 a 4.000 prigionieri?
Perché il costo dell'opera era cresciuto a dismisura?
Perché i lavori venivano affidati direttamente a ditte fiduciarie?



I lavori durarono circa 10 mesi. Furono realizzate 32 baracche in legno rivestite esternamente di mattoni e internamente intonacate. La superficie era di 300 mq ciascuna per una capienza di 125 prigionieri. La copertura era in tegole marsigliesi. Il Campo era diviso in due settori ed era circondato per tutto il suo perimetro da un muro alto circa 3 metri, sopra il quale era stato posto del filo spinato. Ciascun settore era dotato di pozzi con relative pompe, infermerie, bagni e cuci-ne. Le baracche destinate al corpo di guardia furono invece costruite all’esterno della cinta mu-raria. Il Campo ultimato avrebbe potuto ospitare circa 4000 prigionieri, poco più di 2000 per ciascun settore, ma non raggiunse mai la massima capienza. I primi prigionieri giunsero a Servigliano nell’agosto 1916. Da quel giorno iniziò il loro via vai, con permanenze non particolarmente lunghe. Fin dal 1915, i comandi militari avevano avviato i pri-gionieri al lavoro per sopperire alla mancanza di manodopera, offrendo loro le tutele previste dalla Convenzione de L'Aja. Nel marzo del 1917, una circolare del Ministero della Guerra rese an-che obbligatoria l'assicurazione per infortuni e morte. Appena un mese dopo, in una nota del 26 aprile, il Ministero calcolava che nei vari Campi presenti in Italia fossero almeno in 20.000 quelli che venivano impiegati in attività lavorative; tra loro falegnami, sarti, calzolai, muratori e agri-coltori.


Anche a Servigliano si richiedevano prigionieri in possesso di diverse competenze. Alcuni resta-vano all'interno del Campo a lavorare in botteghe predisposte dal comando, come la sartoria e la falegnameria; altri erano autorizzati ad uscire per recarsi al posto di lavoro, come nei cantieri edili, per i muratori, e nelle campagne, per gli agricoltori. In questa organizzazione l'anello debo-le riguardava il salario dei prigionieri lavoratori. Essi erano esposti a numerose forme di abusi, come l'obbligo al lavoro gratuito o la sottrazione in tutto o in parte della retribuzione prevista, da parte di uomini corrotti interni al Comando del Campo. Nell'autunno del '17, alcuni prigionieri, vincendo il clima di omertà, denunceranno tutto. All'inizio della sua attività, il Campo appariva ben organizzato ed il merito era da attribuirsi soprattutto al comandante, il colonnello Simerci Antonio, che godeva di diffusa stima tra la truppa di guardia e la cittadinanza. Forse a ragione della competenza mostrata, venne promosso generale e trasferito ad altro incarico. Durante la primavera del '17 furono trasferiti a Servigliano alcune centinaia di prigionieri provenienti dal Campo di Pretulo e dal Campo di Campli, fino a toccare la quota di 1.500 unità. Gli arrivi però andavano a gravare sulla già delicata situazione dell'approvvigionamento idrico, con conse-guente riduzione della quantità pro capite d'acqua. Inoltre, si sospettava che nel Campo di Pre-tulo fosse in atto un'epidemia di dissenteria e che qualche prigioniero da poco arrivato ne fosse affetto. La mancanza di braccia spingeva le autorità ad un uso massiccio di prigionieri au-stroungarici nei lavori manuali, ricorrendo anche a pressioni o incentivi; per questa ragione essi venivano spesso spostati da un Campo all'altro, in base alle necessità. La scarsa utilizzazione del Campo di Servigliano potrebbe anche imputarsi alla discutibile gestione di due comandanti: il cap. Mathier e il col. Maresca, contro i quali “un gruppo anonimo di cittadi-ni” scrisse sdegnate lettere a membri del governo e del parlamento a Roma. In quello stesso an-no, dopo una breve permanenza, il colonnello Lombardi venne sostituito al comando del Campo dal maggiore Cappa, proposto a quest'incarico dal deputato Monti. Quest'ultimo sollecitò il go-verno affinché si rendesse più attivo il sito di Servigliano. Ma, in una lettera del 25 gennaio 1918 indirizzata al deputato, il ministro della Guerra precisava che “… il Campo prigionieri di detto comune, non ostante la sua maggiore capacità, non contiene attualmente che 738 individui; e tale numero andrà via via sensibilmente diminuendo, perché una parte dei prigionieri sarà destinata ai lavori altrove ... ”


Sembra quasi che i comandi militari volessero arrivare alla chiusura del Campo. Invece, nell'e-state del 1918, le truppe italiane, sostenute da reparti inglesi, francesi e americani, intensificaro-no le operazioni fino al crollo del nemico, cosa che avvenne alla fine di ottobre, con la battaglia di Vittorio Veneto. “Prima che l'armistizio entrasse in vigore, le truppe italiane catturarono 416.116 soldati e 10.658 ufficiali ... ”


Di fronte a questa nuova e imprevista situazione, decine di Campi di prigionia distribuiti in tutto lo stivale furono allertati per l'invio di nuovi prigionieri. Anche a Servigliano giunsero alcune centinaia di soldati e ufficiali austroungarici, ma il numero complessivo non toccò mai il massi-mo delle 4.000 unità.








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penso 2 photo_4896F82B_5A10_02A0_41D5_FA894615722B.label = Smocovich - maestra e alunna photo_4896F82B_5A10_02A0_41D5_FA894615722B.label = Smocovich - maestra e alunna photo_48991837_5A10_02A0_41CB_DC3FDFA9E673.label = Varagnolo bambini photo_48991837_5A10_02A0_41CB_DC3FDFA9E673.label = Varagnolo bambini photo_48A01BB3_5A30_05A0_41CA_D5654406E846.label = 129_2930 photo_48A01BB3_5A30_05A0_41CA_D5654406E846.label = 129_2930 photo_48A3DA20_5A30_06A0_41D2_377E183A813F.label = 129_2928 photo_48A3DA20_5A30_06A0_41D2_377E183A813F.label = 129_2928 photo_48A3DD53_5A30_02E0_41D3_3B6ABF8C8AD9.label = 129_2931 photo_48A3DD53_5A30_02E0_41D3_3B6ABF8C8AD9.label = 129_2931 photo_48A9D617_5A30_0E60_41D0_9E215DBB4D1C.label = 129_2930 photo_48A9D617_5A30_0E60_41D0_9E215DBB4D1C.label = 129_2930 photo_48AFA929_5A30_02A0_41CA_735D887D8DCE.label = Varagnolo 1951 donne interno campo photo_48AFA929_5A30_02A0_41CA_735D887D8DCE.label = Varagnolo 1951 donne interno campo photo_498A43F7_5A30_05A0_4181_B363D16A6F17.label = 129_2927 photo_498A43F7_5A30_05A0_4181_B363D16A6F17.label = 129_2927 photo_49D81701_5A30_0E60_41BF_45346521BCE3.label = barraca3_r72 photo_49D81701_5A30_0E60_41BF_45346521BCE3.label = barraca3_r72 photo_49DE1812_5A30_0263_41AC_1966C56B2524.label = 129_2925 photo_49DE1812_5A30_0263_41AC_1966C56B2524.label = 129_2925 photo_4D8C725A_5A30_06E0_41D1_5D017BF2C4B1.label = dorina 1 photo_4E165803_5A30_0261_4194_46A76768208B.label = unknow photo_4E165803_5A30_0261_4194_46A76768208B.label = unknow photo_4E31AFB2_5A10_3DA3_41A1_DDC2BC67E8A4.label = Foto Edi Miliani_Servigliano 1950 - Gita per il Vin Cotto photo_4E31AFB2_5A10_3DA3_41A1_DDC2BC67E8A4.label = Foto Edi Miliani_Servigliano 1950 - Gita per il Vin Cotto photo_4E5AB424_5A10_02A0_41D3_B98A67FD133B.label = bizzi a mensa photo_4E5AB424_5A10_02A0_41D3_B98A67FD133B.label = bizzi a mensa photo_4E626669_5A10_0EA0_419A_B026404CCE59.label = Bizzi Giancarlo photo_4E626669_5A10_0EA0_419A_B026404CCE59.label = Bizzi Giancarlo photo_5F333221_50F0_09FF_41BB_F6207035CBA9.label = ingresso e padiglione comando photo_5F333221_50F0_09FF_41BB_F6207035CBA9.label = ingresso e padiglione comando photo_668B709A_5090_0ACD_41B9_91EA561FBA4E.label = IMG_0977 photo_6D5BB80E_5090_39C5_41D3_9550EC064081.label = traduttori a lavoro nell'uffici del campo photo_6D5BB80E_5090_39C5_41D3_9550EC064081.label = traduttori a lavoro nell'uffici del campo photo_704C23A4_5090_0EC5_41C9_655D1D7D4A28.label = stazione ferroviaria inaugurata nel 1906 photo_704C23A4_5090_0EC5_41C9_655D1D7D4A28.label = stazione ferroviaria inaugurata nel 1906 photo_7186C0C6_5090_0A45_41C7_C135FE9F2CD2.label = ponte in mattoni sopra al fiume tenna. attualmente distrutto photo_7186C0C6_5090_0A45_41C7_C135FE9F2CD2.label = ponte in mattoni sopra al fiume tenna. attualmente distrutto photo_77C17CD4_50B0_1A45_41CD_C00A05D477CF.label = IMG_0968 photo_77C17CD4_50B0_1A45_41CD_C00A05D477CF.label = IMG_0968 photo_788578A3_50B0_1AC3_41BC_48D1442D2B68.label = adunata dei prigionieri_appello photo_788578A3_50B0_1AC3_41BC_48D1442D2B68.label = adunata dei prigionieri_appello photo_795171F4_5A10_05A1_41AA_34D8CE111966.label = penso 5 photo_7A1E5D81_50B0_3ABE_41B4_0AE4A16A3793.label = IMG_0920 photo_7A1E5D81_50B0_3ABE_41B4_0AE4A16A3793.label = IMG_0920 photo_7A1F89DB_50B0_3A43_41D2_0C582918A9F2.label = IMG_0915 photo_7A1F89DB_50B0_3A43_41D2_0C582918A9F2.label = IMG_0915 photo_7B826A3E_5A10_06A0_41B2_CA32359AA0C4.label = unknow2 photo_7CA160A1_50B0_0AFF_41AE_44B90C21CD9A.label = ufficiale di picchetto con impianto microfonico photo_7CA160A1_50B0_0AFF_41AE_44B90C21CD9A.label = ufficiale di picchetto con impianto microfonico photo_7CB1C30B_50B0_0FC3_41B6_96FF6E1812A5.label = infermeria del campo photo_7CB1C30B_50B0_0FC3_41B6_96FF6E1812A5.label = infermeria del campo photo_7CFF7656_50B0_3645_41B7_6738310FEBBC.label = IMG_0910 photo_7CFF7656_50B0_3645_41B7_6738310FEBBC.label = IMG_0910 photo_7F97763C_5A10_0EA0_41AB_75FC5C46C6F4.label = 459454_10200347448701098_949793734_o photo_904BA4DF_A603_96E3_41BE_97954C9EF37B.label = baracca photo_91985AF8_A607_92AC_41DF_DFC8CC256B13.label = campo-servigliano-vedetta photo_92874E5C_A603_75E5_41E0_C370AA18F19E.label = cucina truppa_AUSSME photo_92874E5C_A603_75E5_41E0_C370AA18F19E.label = cucina truppa_AUSSME photo_9492D188_A603_8F6D_41CC_FA1E6B96A70D.label = cucine corpo di guardia photo_9492D188_A603_8F6D_41CC_FA1E6B96A70D.label = cucine corpo di guardia photo_9E2ECC4F_A600_B5E4_41E3_3BB6BEE03DA6.label = vista dal treno photo_9EB041FD_A601_8EA7_41DC_5AE2CA4B3D51.label = Appello mattiniero photo_B843935B_AB4E_3D03_41CB_7A2ACC48A9C3.label = vita nel campo3 photo_B843935B_AB4E_3D03_41CB_7A2ACC48A9C3.label = vita nel campo3 photo_B84E1F57_AB4E_2503_41E5_2EEC27BE0DD5.label = vita nel campo2 photo_B84E1F57_AB4E_2503_41E5_2EEC27BE0DD5.label = vita nel campo2 photo_BD010234_AB46_5F05_41B1_EED225E06D33.label = il corspo di guardia diurante una funzione religiosa_1 photo_BD010234_AB46_5F05_41B1_EED225E06D33.label = il corspo di guardia diurante una funzione religiosa_1 photo_BF99353D_AB46_2507_41E0_5DA8CC6297E5.label = il corspo di guardia diurante una funzione religiosa_2 photo_BF99353D_AB46_2507_41E0_5DA8CC6297E5.label = il corspo di guardia diurante una funzione religiosa_2 photo_BFB5DA35_AB4E_2F06_41A2_761D2A695017.label = vita nel campo photo_BFB5DA35_AB4E_2F06_41A2_761D2A695017.label = vita nel campo photo_C91E8D4A_9C49_A6B4_41CB_C1A4C7954910.label = adunata dei prigionieri_appello photo_C91E8D4A_9C49_A6B4_41CB_C1A4C7954910.label = adunata dei prigionieri_appello photo_CC910A4A_9C48_E2B4_41C7_E086FBC35399.label = magazzino viveri_1 photo_CD5364DF_9C48_E74C_41A7_587EB39031B4.label = magazzino viveri photo_CD5364DF_9C48_E74C_41A7_587EB39031B4.label = magazzino viveri photo_CF55D477_9C4F_A75C_41D5_21B33FC975CF.label = adunata dei prigionieri photo_CF55D477_9C4F_A75C_41D5_21B33FC975CF.label = adunata dei prigionieri video_69196B1E_7DE5_5453_41B9_2B7E41B3EF86.label = FESTA CAMPO PROFUGHI ## Popup ### Corpo htmlText_00ACAE62_5190_367D_41C7_992A71290835.html =
1.l corpo di guardia durante una funzione religiosa in presenza del prete Don Viozzi.
2.Il corpo di guardia durante una funzione religiosa.
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ACDM
htmlText_0240C55E_5190_0A45_419F_4401024D34EC.html =
Sirena del campo. Possibile notare l'architettura delle baracche
e i relativi pozzi.
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ACDM
htmlText_05EDE08E_5190_0AC5_41BC_0606721CE49F.html =
Il corpo di guardia dopo un ritorno nel campo, formazione a plutone.
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ACDM
htmlText_1875F084_5170_0AC5_41D4_22A8614D77C1.html =
Cucine degli internati, prigionieri di guerra a lavoro.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015. AUSSME
htmlText_19099D5A_5170_3A4D_4178_05AD32476BF1.html =
1.Cucine truppa, soldato al lavoro,
2.Cucine corpo di guardia; militari al lavoro,
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015.AUSSME
htmlText_1A20E919_5190_1BCF_41A4_478886A2EAC6.html =
Alcuni soldati mentra raccolgono dell'acqua dal pozzo.
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ACDM
htmlText_1A95BA08_5190_79CD_41CC_3B25B021B20A.html =
1.Prigionieri di guerra al lavoro all'interno delle baracche del campo: riparazione di elementi di abbigliamento come stivali.
2. Lavanderia.
3.All'interno del campo, la vita era gestita come una grande comunità, i prigionieri dovevano svolgere dei lavori per il mantenimento della struttura. Qui stavano lavorando alla costruzione costruzione di alcuni elementi in legno.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015. AUSSME
htmlText_1F127713_5190_37C3_41C0_038D8050866F.html =
Vita all'interno del campo.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015. AUSSME
htmlText_407B3B8E_5A30_0660_4188_917F425B2F97.html =
Stato delle baracche prima della loro demolizione.
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ACDM
htmlText_417B7DEE_56CC_AC43_41BF_D37F0554F661.html =
1.Ufficio postale del campo.
2.Banco dello spaccio
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Capponi Editore, Il Piceno e la
Shoah, 2015. AUSSME.
htmlText_42745A86_56C5_B4C3_41D1_5140B7CF88EE.html =
Militari e baracche presenti nei pressi della ferrovia,
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ACDM
htmlText_42B2C989_50F3_FACF_41C0_914F03F2AB17.html =
Vista del campo dalla collina
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ACDM
htmlText_43EE17E2_5A30_0DA3_418E_DD923883FBF9.html =
Archivio storico casa della memoria. Soggetti sconosciuti.
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ACDM
htmlText_44B0A4BF_5645_DCC1_41C6_289B0FB40924.html =
Vista delle mura con i binari della ferrovia, ACDM.
htmlText_44E516AE_5A30_0FA0_41D1_115A916A101C.html =
Foto di una famiglia durante l'invernata.
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ACDM
htmlText_45165851_5A10_02E1_41D6_55853AEC7DF8.html =
In questa fotografia si può notare l'architettura del campo post seconda guerra mondiale.
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ACDM
htmlText_4567CE14_50F0_19C6_41B5_A1D70CBE34C6.html =
Interno del Campo, ACDM.
htmlText_45B2CABE_5A10_07A0_41B9_F3CBB7078E69.html =
Archivio storico CDM: sconosciuti.
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ACDM
htmlText_4615EEE7_564B_AC41_41D2_0A248E906CFA.html =
Torrette di guardia lungo le mura di cinta del campo.
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ACDM
htmlText_46612571_5A30_02A0_419D_B38D9CEFE030.html =
Anche la squadra di calcio di Servigliano potenziò il proprio organico con l’inserimento di profughi.
Rimangono ancora nella memoria di alcuni testimoni due partite giocate con l’Ancona.
“C’era tra i profughi qualche calciatore che militava nella squadra di Servigliano,” ricorda il serviglianese Renato Abbati, “erano dei veri professionisti. […] La Serviglianese militava in un torneo basso, ma una vol-ta andammo a giocare con l’Ancona. Avevamo con noi due o forse tre profughi che erano da serie A. Alla fine dei 90 minuti uscimmo vittoriosi per 1 a 0.”
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ACDM
htmlText_46A7F2B1_5A30_07A0_41D1_7CA33E541A6F.html =
Archivio storico CDM: Varagnolo.
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ACDM
htmlText_481551DD_50F0_0A47_41D1_027CB1725861.html =
Cancello laterale del Campo, ACDM.
htmlText_4BBA3243_5A10_06E1_41D3_DB1FA5117E74.html =
Archivio fotografico di Bizzi Giancarlo.
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ACDM
htmlText_4C67720B_5A30_0661_41CF_AAABE85824FC.html =
Fotografia che raffigura delle donne facenti parte del campo di raccolta profughi. Alle spalle il cancello di entrata del campo.
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ACDM
htmlText_4CAE6684_5A30_0E60_41C4_E9107E1F0378.html =
Carrozza del treno con all'interno dei profughi.
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ACDM
htmlText_4D6FE172_5A30_02A3_41D5_240E19D5CB6C.html =
Archivio storico: Dorina Medelin.
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ACDM
htmlText_5FA0C90D_50F0_3BC7_41CD_F39B2F5A593C.html =
1.Guardie con gruppo di prigionieri.
2.Ingresso e padiglione comando.
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ACDM
htmlText_61210645_50B0_1647_41C3_CC7BB5098B79.html =
1.Ufficiale di picchetto con impianto microfonico.
2.Traduttori a lavoro negli uffici.
3.Infermeria.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015. AUSSME
htmlText_62122835_50B0_79C6_41C9_932D931488D9.html =
1.Ufficiali nella propria camerata.
2.Militari al lavoro negli uffici del Campo.
3.Il comandante al comando del Campo, il colonnello Enrico Bacci.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015. AUSSME
htmlText_65818544_5090_0A45_41D0_05C46FD10FC0.html =
Fosse per defluire le acque all'interno del campo; porzione del muro versante Nord-est.
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ACDM
htmlText_709287B9_5090_76CF_41C3_8AD53B5A64C6.html =
1.Ponte in mattoni sopra al fiume tenna, attualmente distrutto.
2.Stazione ferroviaria inaugurata nel 1906
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ACDM
htmlText_77C4D0CB_5090_0A43_4116_718F2B1702E0.html =
Entrata del campo con adunata dei soldati, appello mattutino.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015.
htmlText_781BC124_5A10_02A0_41D0_26EECD2CB339.html =
Archivio storico CDM: sconosciuti.
Qui la comunità si ritrovava per realizzare un pupazzo di neve durante l'inverno Serviglianese.
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ACDM
htmlText_79C6C98C_5A10_0260_419A_E8097BA72376.html =
Archivio storico CDM: Bizzi Giancarlo.
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ACDM
htmlText_7A19ABBF_50B0_1EC3_41D2_68CAACE73009.html =
Vedetta ed edificio del "CORPO DI GUARDI" posizionati all'esterno delle mura perimetrali del campo.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015. AUSSME
htmlText_7B1B1D4C_69EC_1C47_41BA_DCE39D92D91A.html =
Cucine
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ACDM
htmlText_7B232AD0_5A10_07E0_41D5_3348F15A5A62.html =
Archivio storico CDM: Bizzi Giancarlo. All'interno del campo profughi fù creata una scuola per tutti i bambini facenti parte delle famiglie del campo.
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ACDM
htmlText_7B9B43D4_5A10_05E7_41B3_5E72B7239199.html =
Archivio storico CDM: sconosciuti.
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ACDM
htmlText_7E464A93_5A10_0661_4151_FFFEDC85AFE0.html =
Archivio storico CDM: sconosciuti.
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ACDM
htmlText_919347F8_A600_92AC_41DA_292D2BE7777F.html =
Entrata del campo con adunata dei soldati, appello mattutino.
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Capponi Editore, Il Piceno e la Shoah, 2015.
htmlText_B17DE840_AB4B_EB7D_41DA_006965F4C88A.html =
Baracca del Campo.
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ACDM.
htmlText_BEE7F817_AB4A_6B03_41D5_5E00D366AFA2.html =
Lavori di costruzione del Campo di Servigliano e piantina del CPG59 realizzata dall'ingegnere Eugenio Fagiuoli nel 1915
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ACDM
### Titolo window_41721F43_5A37_FEE0_41D6_3B16E520819B.title = 1945—1970 window_43E2439F_50F0_0EC3_41B2_70E8DF773A64.title = Inizio '900 window_44E38B6F_5645_B441_41CB_4CD67B8604BC.title = 1941—1944 window_4779A49D_5A30_0260_41B1_55D36DC05471.title = 1945—1970 window_49B2F315_50F0_0FC7_41CD_6C8188593446.title = Inizio '900 window_4C98A99C_5A30_0260_41C1_78E726E1C7CF.title = 1945—1970 window_62126836_50B0_79C2_41D0_619612CE3970.title = 1941—1944 window_650CCA5C_5090_1E45_41C3_CCF8580F1BC1.title = 1941—1944 window_76A20E4D_6553_C362_41A7_60B47442A8D2.title = 1945—1970 window_78102B26_69E4_05C0_41C9_0E434EAC55C1.title = Inizio '900 window_785EA645_69E4_0C41_41B1_3B2EF0019853.title = 1941—1944 window_7867BC64_69E4_3C47_41D3_109C37AF1C6F.title = 1941—1944 window_786C9868_69EC_044F_41C4_F93CA00FC496.title = 1915 window_788B54E9_69A4_0C41_41CB_BA4DD424DC7A.title = 1941—1944 window_79559D44_69A4_1C47_41D7_C2F254342ACF.title = 1970 window_7A0272DB_69EC_0441_41D1_C1E371B1F087.title = 1915 window_7A0597F7_5A10_0DA1_41B2_9415F6C75D9D.title = 1945—1970 window_7A0B4286_5A10_0660_41A7_B9921DB739A5.title = 1945—1970 window_7A22EC8F_69EB_FCC1_41B2_59C7DAB7E9DC.title = 1941—1944 window_7A27E9B7_69EC_04C0_41D0_5ACD75943F89.title = 1945—1970 window_7A3336F2_69EC_0C40_41D4_70B8A7EA5262.title = 1945—1970 window_7AAC1195_69EC_04C1_41B6_FB632B585D97.title = 1945—1970 window_7ADCB5D4_69EC_0C47_4193_C8C6413C5942.title = 1945—1970 window_7ADD51C8_69E4_044F_41A0_666566F5974A.title = 1945—1970 window_7B1E24A8_69E4_0CC0_41B8_FC5E19718BE9.title = 1945—1970 window_7B278D38_69EC_1DC0_41CF_7D914A239D4F.title = 1945—1970 window_7B2D6A15_69EC_07C1_41D3_B00195794844.title = 1941—1944 window_7B31A71F_69EC_0DC0_41AB_3744E4CC1E38.title = 1945—1970 window_7B43091C_69E4_05C7_41C5_D713FB5FC2FC.title = Inizio '900 window_7B46C8BD_69EC_04C0_41B1_D14A9FF1ABE4.title = 1915 window_7B4E50F2_69E4_0443_41D5_13E995EA3FCB.title = 1941 window_7B5B00C2_69EC_0443_41AA_E6183006669C.title = 1941—1944 window_7B608C26_69A4_03C0_41D2_F452A86E1FE7.title = 1941—1944 window_7B71D9D9_69EC_0441_41C9_45F168EBBD8B.title = 1941—1944 window_7BB71A0E_69A4_07C3_41D5_FF042CB7BD3C.title = 1945—1970 window_7BC04E1E_69A5_FFC0_41D7_6F0E5E994DD8.title = Inizio '900 window_7BD392B5_69E4_04C1_41D0_EBB793FA6861.title = 1941—1944 window_7BD87BDE_50B3_FE45_41BE_06B914C920E9.title = 1941 window_7BF9041E_69A4_03C3_41A6_7A82F059CFE4.title = 1941—1944 window_7DAE0A92_69EC_04C3_41D1_743E13C15131.title = 1941—1944 window_7DCD1D28_69EC_3DC0_41D1_72BD59072D38.title = 1941—1943 window_7E8B98E6_5A10_03A3_41D3_49BF71D4F446.title = 1945—1970 ## Azione ### URL LinkBehaviour_38294114_0666_71AF_4196_01BB9A46B4DA.source = //www.youtube.com/embed/c3QDRFvJzBU?v=c3QDRFvJzBU LinkBehaviour_810D0940_9B8E_3C79_41E3_030AC00B8E37.source = https://www.lacasadellamemoria.com/ LinkBehaviour_81F92DB0_9B8E_1418_418E_398FB8334A11.source = https://www.lacasadellamemoria.com/